Rinunciare ai privilegi

L’Italia del Risorgimento” di Indro Montanelli è uno dei libri più belli che io abbia mai letto. L’ultimo capitolo, la biografia di Giuseppe Verdi, mi ha fatto piangere ogni volta che l’ho riletto. Per il mio vissuto e i miei studi storicoartistici mi ritengo una persona di una cultura, diciamo, “decente”, quindi penso di essere stato in grado di leggere questo libro con le precauzioni del caso: è stato scritto da un giornalista e non da uno storico, da una persona nata ai primi del Novecento, da un conservatore, anzi, proprio fascista durante la sua gioventù, eccetera. Non avevo mai riflettuto su altre due precauzioni che ora mi sembrano “the elephant in the room”, come dicono gli inglesi. Montanelli era un maschio, ed era bianco.

Sono giorni che sui social sono irrequieto, vedo tutte le notizie sull’iconoclastia che dilaga nel mondo occidentale e mi faccio tante domande. Siccome ho sicuramente poche risposte, taccio, rifletto, rimango fisso sugli articoli e i post della gente con cui di solito sono d’accordo e faccio fatica ad articolare un mio pensiero, una mia opinione, non tanto per raccontarla al mondo come sto finalmente facendo in questo momento, ma soprattutto per me, per capire meglio questa sensazione di certezze che traballano, di pavimento che scricchiola e cede.

Il mio affetto per Montanelli risale al liceo, in Spagna. La mia insegnante di latino ci fece comprare e leggere “Storia di Roma” e anche lei ci spiegò subito che razza di libro era: non era un libro di storia né tantomeno di finzione, era un libro scritto da un giornalista che aveva saputo cogliere l’anima di molti dei personaggi di cui parlava e raccontava diversi aspetti della storia della Roma antica attraverso un’ottica diversa, senza lo scrupolo del ricercatore, con la visione di insieme dei migliori divulgatori. Amai quel libro, così come “Storia dei greci”, che lessi sempre in quegli anni. E appena misi piede in Italia comprai entrambi finalmente in italiano. Negli anni ho acquisito e letto altri dei suoi libri sulla storia d’Italia, apprezzandone molto lo stile e la scorrevolezza della sua prosa.

Un paio di anni fa vidi il video quell’intervista in cui raccontava di come aveva comprato moglie in Africa. Rimasi ovviamente scioccato. Ma tacqui, non volli mettere in discussione la mia immagine di Montanelli. Potevo, privatamente, scindere il personaggio dell’opera, non collegare quella storia atroce all’autore di quei libri che tanto amavo. Potevo farlo, tanto nessuno sarebbe venuto a chiedermi spiegazioni. Potevo, semplicemente, evitare quell’argomento sui social, far finta di non aver visto il video, di non averlo ascoltato bene, potevo, in fin dei conti, far finta di niente. Questo è il mio privilegio come uomo occidentale, bianco ed eterosessuale: far finta di nulla. Andare avanti per la mia strada perché queste cose probabilmente non mi chiuderanno mai nessuna porta. E questo è un privilegio a cui è molto difficile rinunciare. Ma si deve fare.

Montanelli ha violentato una bambina di dodici anni e non ha mai dato segni di essersi minimamente pentito. Questo fa di lui un pedofilo, niente di meno. Intacca questo la qualità dei suoi scritti? Da un punto di vista puramente stilistico sicuramente no, ma non voglio rileggere più le opere di un uomo che non si è fatto problemi ad acquistare e violentare una bambina di dodici anni. Non voglio più leggere pensieri e argomentazioni che poggiano su queste fondamenta, non voglio più accettare concetti e idee che in realtà sono solo la cima di una montagna di privilegi che appartengono a un mondo in cui veramente non credo. Mi rendo conto di non essere forse così in grado di distinguere cos’è veramente giusto e cosa è solo un concetto che mi fa comodo in quanto uomo bianco eterosessuale di classe media. Quindi è giusto farsi da parte, mettere tutto in discussione, riconoscere che finora ho vissuto in un mondo molto privilegiato (e probabilmente continuerò a farlo per tanto tempo, volente o nolente) e fare il possibile per rinunciare alla mia posizione di vantaggio.

Dunque, il mio apprezzamento per la prosa di Montanelli non potrà mai essere messo al pari dell’atrocità da lui commessa e, peggio ancora, giustificata in maniera più o meno evidente in ognuna delle sue opere, che non possono che essere il riflesso di un pedofilo
razzista. Non posso semplicemente dire: “sì, ha fatto cose orribili ma a me piacciono i suoi libri”. Il mio gusto personale non può stare al di sopra non tanto del fatto singolo da lui commesso ma soprattutto di un mondo in cui queste cose sono strutturali, come si dimostra nel lungo elenco di ricchi sessantenni che si offendono per l’imbrattamento della sua statua ma possono tranquillamente passarci sopra lo stupro. Montanelli, tu, i tuoi libri e la tua visione egemonica dell’uomo bianco nel mondo scompaiono oggi dalla mia libreria. Si dice che quando Berlusconi ti offrì di essere sepolto nel suo mausoleo dicesti “non sum degnus”. Non lo sei neanche di restare in questa casa. Addio.

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Le chiappe sul traghetto

Da un po’ di tempo a questa parte le mie vere ferie iniziano nel momento in cui le mie natiche ispaniche si posano (con più o meno grazia a seconda della stanchezza) sul traghetto che mi porta all’isola di Capraia. Non quando esco dal lavoro l’ultimo giorno, non quando mi sveglio a poche ore dalla partenza, il mio riposo inizia solo quando mi siedo e inizio a gustarmi l’aria del mare e la sensazione di libertà.

Prima di salire ci capita spesso di incrociare quelli che tornano dall’isola, abbronzati, quasi tutti felici, o almeno contenti. Chiunque si fermi a guardare la mia espressione deve odiarmi, me e il bambino che corre verso la nave mentre io faccio finta di camminare.

Nei giorni in cui i passeggeri degli aerei sono trattati come i peggiori terroristi e le autostrade sono il raduno degli imbecilli, il barco e il treno sono gli unici mezzi che ti permettono di iniziare il viaggio con un minimo di romanticismo.

Poi a un certo punto la nave parte, all’inizio non te ne accorgi nemmeno, dolcemente dondolato anche ancorato al porto. Poi le altre navi rimangono indietro, persino quei giganti che sembrano intere periferie galleggianti. Davanti solo il Mediterraneo, che come diceva un mio professore all’università parlando degli arabi che avrebbero attraversato lo Stretto di Gibilterra nel secolo ottavo, «non è un ostacolo né una barriera ma un invito«. E io l’invito l’accetto sempre troppo volentieri, anche se mi fa strano sentirmi ospite a questo posto che considero casa mia. Forse è questa una delle letture del Mediterraneo, essere un po’ anfitrione ovunque ma anche un po’ ospite a casa tua.

Spesso Capraia si vede già dalla terraferma e ti viene negato quel piacere da conquistador di aguzzare la vista in attesa che la meta del viaggio inizi a indovinarsi all’orizzonte. In questo caso il senso di isolamento un po’ si perde ma riappare quando si scende dalla nave e il continente sembra un mondo lontanissimo dove in fondo speri di non tornare. «Vediamo se questa è la volta buona che non torno«, dico a volte un po’ scherzando, un tanto no. L’eremita che educa il bambino che correva verso la nave ne gioverebbe tanto.

Forse tutto questo nasce dalla comunissima allegria di andare in ferie e tendo a sublimare un semplice viaggio; o forse questo mare, quest’isola e questa brezza mi mancano da morire tutti gli altri giorni dell’anno.

Invettiva contro la frizione

A volte l’uomo è in grado di fare scoperte affascinanti. Invenzioni che fanno fare un salto evolutivo di diversi secoli. Una di queste è stata senza dubbio la macchina, nipote del motore a vapore. Ma… Perché un’invenzione così importante conserva una parte così arretrata come la frizione?

Siamo seri: non ci sarebbe bisogno di imparare a guidare se non ci fosse la frizione, o almeno se non fosse rimasta al primo modello. Il resto di componenti della macchina si sono evoluti alla versione due miliardi punto zero mentre la frizione è rimasta alla versione beta. Vediamo di cosa parlo, punto per punto.

Nel momento in cui si inventa la macchina, la prima idea sarà stata sicuramente:

«qua mettiamo il pedale del gas, più si preme, più veloce si va, se si molla, la macchina frena progressivamente; per aiutare comunque nella frenata, mettiamo un altro pedale, che può far fermare la macchina velocemente«.

Ok, un’idea chiara, semplice. Ma a quanto pare non così semplice da realizzare: per far raggiungere la macchina velocità più alte bisognava aggiungere la frizione. Ok, ci può stare, è successo tanto tempo fa, non si poteva fare subito tutto perfetto, va bene, lo accetto.

Ma si parte subito male.

«Per azionare la frizione aggiungiamo una leva, che potrà essere mossa solo se prima si preme un terzo pedale».

Come, un terzo pedale? Ma quanti piedi ha un essere uomo medio? Due, no? Allora perché aggiungere un terzo pedale? Ancora non esisteva, ma in un certo senso stavano già pensando alla famosa scena di «Big» di Tom Hanks, quella in cui suona un pianoforte gigante con i piedi.

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Tom Hanks preparandosi a uscire dall’autostrada

Va bene, posso anche accettare il pedale per muovere la leva. Ma poi…

«Allora, la leva non la facciamo lineare. Facciamo che la macchina di suo non ha nessuna marcia ingranata. Per mettere la prima marcia bisogna fare un movimento a sinistra e uno in avanti. Poi la seconda in basso, per la terza bisogna tornare al punto di partenza e andare in avanti, eccetera…».

Questa idea folle ha trovato dall’altro lato una persona che ha detto «perfetto, mi sembra una soluzione che non potrà mai essere migliorata«.

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La logica umana.

Ma non finisce qui. Alla frizione è stata data una funzione in più. Se uno vuole stare semplicemente fermo con la macchina accesa non può a meno che non prema la frizione. E se levi il piede? La macchina si spegne! È tutto così ottocentesco che farebbe molto ridere se tutto questo non ce lo fossimo portato avanti fino ai nostri giorni. È vero che ormai esiste il cambio automatico e che alcune macchine hanno una leva come dio comanda in cui devi solo portarla in alto o in basso per cambiare le marce ma mi chiedo come mai un meccanismo così complesso possa essere ancora così diffuso.

È come se dopo aver inventato la polvere da sparo si usassero le frecce al posto delle pallottole, come se dopo aver inventato la stampa si facessero i libri in legno e non in carta, come se dopo l’invenzione del telefono si potesse parlare solo esperanto, come se dopo aver scoperto la penicillina Fleming avesse detto: «ma questo non sarà mai comparabile a una decina di sanguisughe con Saturno all’orizzonte!«.

Tutti si abituano alla frizione manuale, anche i vecchini più rincoglioniti che fanno fatica a non pisciarsi nelle mutande continuano a guidare, ma ciò non significa che la frizione non sia un pezzo di meccanica quasi leonardesca in un mondo in cui possiamo far arrivare un insulto alla tasca del presidente degli Stati Uniti mentre facciamo la cacca in casa. Frizione, io ti detesto e ti dichiaro guerra infinita.

La difesa della piccola libreria

Io e Beatrice siamo andati ieri a fare una passeggiata dopo aver fatto colazione da Badiani. Temperatura perfetta, un lieve venticello che ci ha rigenerato dopo due settimane di afa. Tornando a casa abbiamo visto dall’altra parte di Viale dei Mille una libreria che, pur avendola notato qualche volta, non era mai stata visitata dai nostri occhi curiosi, quindi abbiamo deciso di attraversare ed esporla al nostro giudizio implacabile.

«L’Ora Blu» è una piccola libreria, una sola stanza di circa cinquanta metri quadri, con scaffali non nuovissimi ma neanche troppo vecchi. La prima (e falsa) impressione è di disordine, la divisione fra le materie è fatta con piccole scritte bianche che sfuggono al primo sguardo dando però una piacevole sensazione di «totum revolutum» che gli amanti dei libri adoriamo, quella sensazione di «Biblioteca di Babele» borgiana.

La prima cosa che uno nota dopo aver guardato due o tre scaffali è la quantità di case editrici minoritarie, le collane mai viste prima, gli autori di cui uno si vergogna di non poter dire nemmeno il paese di origine.

Ho scoperto anche con grande piacere la grande varietà di titoli nella sezione musicale e una serie di libri sulla storia della mafia che non ricordo aver visto nelle solite librerie. E’ a questo punto che te ne accorgi quanto possa essere falsata la tua idea del mondo dell’editoria dopo troppe ore a guardare gli stessi libri nello stesso ordine.

E poi… La carta. Parliamo della carta, quell’invenzione meravigliosa ma sempre più declassata non solo per l’arrivo del digitale ma soprattutto per la mancanza di interesse degli editori di valorizzarla come materiale, come esperienza sensibile. Chi ama i libri è disposto a pagare qualche euro in più per avere una carta degna di essere chiamata tale, degna di ospitare certe frasi, certe musiche delle dita. C’è sempre una scelta, e chi utilizza carta scadente perché meno costosa non ha il coraggio di morire in piedi.

Non avevo nessuna voglia particolare ieri ma non potevo andarmene da lì senza aver comprato un libro. Non solo per rispetto del libraio, che ha avuto la classe di non chiederci se «cercavamo qualcosa», probabilmente perché ha capito le nostre intenzioni puramente edoniste, ma soprattutto perché un posto del genere è necessario per una città come Firenze. Comprare nelle piccole librerie è un atto di resistenza.

Ieri riflettevamo poi nel pomeriggio sul commercio equo e solidale, e su come sia impossibile essere un consumatore etico al 100%, soprattutto per questioni economiche. Se uno dovesse comprare solo prodotti biologici, vestire abiti fabbricati in luoghi di fiducia e via dicendo, servirebbero almeno due stipendi di 2.500-3.000€. Che poi uno pensa in realtà all’origine del petrolio con cui si fa la benzina per la macchina e capisce che non c’è verso di aggiustare tutto solo con le proprie scelte, ma il punto è che purtroppo non possiamo intraprendere tutte le battaglie che ci piacerebbe, quindi dobbiamo scendere a compromessi con noi stessi e con il mondo che ci circonda. E una di queste battaglie è quella delle librerie, che è una abbastanza accessibile. Spesso le differenze di prezzo fra una grande catena e una piccola libreria da quartiere è di pochi euro. Se poi pensiamo che spesso queste librerie sono più vicine a casa nostra di una grande libreria in centro, che dobbiamo raggiungere con i mezzi pagando il biglietto, allora la differenza praticamente viene azzerata.

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Io ho deciso di comprare un piccolo libro di Antonio Machado, «La guerra», una delle ultime opere del poeta spagnolo composta da sette brani, alcuni in prosa, altri in verso (con testo originale a fronte), fra cui tre poemi dedicati a Federico García Lorca. Una scelta quindi dei mille significati. Non lasciamo sole le piccole librerie.

 

Una reflexión histórico-artística sobre el busto de Cristiano Ronaldo

Esta semana se ha presentado al público un busto dorado de Cristiano Ronaldo, que ha causado no pocas reacciones por el escaso parecido de la figura con el futbolista portugués. Creo que, más allá de la burla, esta escultura debería alertarnos sobre la crisis de la civilización occidental.

Como estudiante de Historia del Arte una de las primeras cosas que me llamó la atención desde la ignorancia y la incomprensión fue lo feas que eran, desde un punto de vista puramente estético, las figuras que se veían en muchas portadas medievales. Hombres y mujeres deformes, desproporcionados y que parecían hechos, en algunos casos, por niños que no sabían dibujar. No entendía cómo después de la perfección había alcanzado la escultura clásica en la representación del cuerpo humano se había podido llegar a esas figuras.

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La explicación de este fenómeno se basa normalmente con la pérdida de importancia del ser humano en detrimento de Dios, y al hecho de que el hombre, imperfecto, que ya no era «la medida de todas las cosas», debía ser reducido casi a un simbolo de sí mismo y no debía por tanto representar su lado más terrenal sino espiritual. Una explicación que nunca terminó de convencerme: entendámonos, no quiero decir que yo tengo la verdad absoluta sobre la Historia del Arte y millares de historiadores se equivocan, pero siempre he creído que había que perder el miedo a decir que muchas de esas figuras medievales estaban mal hechas porque eran obra de artesanos de escasa calidad y no porque detrás de ellas hubiera un concepto artistico tan complejo. Sobre todo en la Alta Edad Media, el colapso ocasionado por la desintegración del Imperio Romano causó que muchas zonas de Europa, que después formarían parte de las grandes potencias modernas, no fueran durante varios siglos nada más que una periferia subdesarrollada del mundo occidental. Pero esto es algo que la historiografía artistica contemporanea, nacida prácticamente en paralelo al desarrollo de los nacionalismos del siglo XIX, nunca ha sido capaz de aceptar abiertamente. Es obvio que en los grandes centros medievales el nuevo modo de representar el cuerpo humano respondía a estos principios espirituales, pero también es verdad que, lejos de estos lugares, la «fealdad» de estas figuras era el fruto casi únicamente de artesanos de escasa calidad que no disponían ni de centros donde aprender la técnica ni de modelos válidos a los que imitar.

Podemos recordar incluso en este momento la leyenda que Vasari cuenta sobre Giotto, el pintor que abrió las puertas al Renacimiento. Vasari narra que Giotto fue descubierto, a la edad de diez años, por otro gran pintor como Cimabue, que lo encontró dibujando sobre una piedra una oveja «di naturale», o sea, tomando como modelo la propia Naturaleza, algo que no sucedía desde hacía muchos años, «habiendo estado enterrados (…) por las ruinas de las guerras, las maneras de las buenas pinturas y dibujos». Más allá de la fantasía de la leyenda, lo que considero importante en este momento es subrayar que Vasari habla de un mundo en el que uno podía nacer con el talento pero necesitaba alguien que lo llevase a un centro importante (en este caso Florencia) para desarrollarlo. Y si esto sucedía todavía en la segunda mitad del siglo XIII en la floreciente Italia de las ciudades-estado, imaginemos en los siglos VI, VII, VIII en las campiñas castellanas, francesas o alemanas…

Por todo esto el busto de Cristiano Ronaldo me parece que está gritando «la Edad Media está volviendo». Es obvio que hoy en día hay artistas capaces de hacer un retrato fidedigno de cualquier persona (vivimos en la era de las impresoras en 3D), o no realistico pero con un concepto artistico concreto. Me temo en cambio que el caso del busto no responde a ningún concepto determinado sino a una incapacidad artística del escultor. ¿Cómo es posible que alguien que no es capaz de hacer correctamente una escultura se encargue de hacer la de uno de los deportistas más importantes del planeta? Parece evidente que la designación no se ha hecho en base a su habilidad sino por otros motivos, lo que dice muy poco del lugar que ocupa el Arte en la sociedad occidental del siglo XXI.

Sacarse el carnet de conducir en Italia (capítulo I)

Los que me conocéis desde hace más tiempo sabéis que siempre he tenido una curiosidad morbosa por la burocracia, esa mezcla de incredulidad y admiración por ese modo tan genial que tiene el Estado de sacarte de quicio y los cuartos. Si la democracia nació en Grecia, la burocracia en Italia, no hay muchas dudas al respecto. Aquí comienza la historia de cómo me saqué el carnet de conducir en Italia (en realidad por ahora es la historia de cómo me apunté a la autoescuela, pero hay que ser optimistas).

Con todo el jaleo de la última semana casi me olvido de contar lo más importante. En Italia, país miembro y fundador de la Unión Europea, no te puedes sacar el carnet de conducir si no tienes un carnet de identidad italiano. Cuando fui la primera vez en 2015 a preguntar para apuntarme me dijeron «es el único documento que se acepta para la inscripción. En ese momento yo, que soy español, tenía mi pasaporte en regla y resultaba como empadronado en Florencia, pero no, no bastaba. Pensé en decirle al señor de la autoescuela que sé hacer la pasta casera y que «my pesto is the besto«, pero preferí encajar la derrota con algo de dignidad y volverme para casa.

Pero en 2016 me hice el DNI italiano y con él redoblé mis esfuerzos para apuntarme a la autoescuela, así que me explicaron los trámites, que ahora son un poco diferentes a como eran hace unos años, ahora hay que hacer por fuerza una clase práctica de noche y otras cosas de las que ahora no me acuerdo pero que sonaban difíciles, tipo aparcar en cuesta y cosas así. Así que sólo quedaba «el papeleo». Y poner la pasta. Porque en la vida, «desde que tiene uso de razón, es ir soltando, a poner, es un pozo sin fondo«.

Se empieza por lo fácil: el DNI italiano, la tarjeta de la seguridad social y dos fotos de carnet. Aunque en realidad las fotos no eran las adecuadas, llevé dos tamaños diferentes de las que me hice la últime vez que hice papeleos pero resulta que las buenas eran justo las de en medio, las que no estaban. El tipo tuvo que ver el pánico en mi cara porque cogió las grandes casi haciéndome un favor. Pero me vale.

Después se sigue con la pasta. Pero lo mejor es que no te dicen: «paga 200€». Sería demasiado fácil. Hay que ser más original. Pero mucho más. Para empezar te dan tres sellos que tienes que ir a pagar a Correos, de los que dos se pagan en una cuenta y uno en otra. No vayan a ser los tres en la misma y vayamos a dejar al empleado de Correos sin su ocasión de equivocarse. Luego hay que ir al médico de cabecera a que te haga un «certificado anamnéstico», o sea, uno de esos donde dice que no estás loco, que no te pinchas heroína y que parece que los huesos los tienes todos. Mi médico lo rellena sin hacerme una sola pregunta mientras me cuenta, en español, que este verano va a Formentera, que volará hasta Ibiza y que luego cogerá el ferry. Para terminar, sus honorarios: «ok, 30€ y estamos«. Sí, por si no lo sabíais, en Italia se suelta pasta al médico de cabecera. Sellos, 65,74€, médico 30€. Llevo 95,74€ y ni siquiera he vuelto a la autoescuela.

Luego hay que pasar el reconocimiento de la autoescuela. Que piensas «visto que el primo era puramente formal, este será un poco más serio«. Ja. Ah, casi se me olvida, para el reconocimiento oficial, hay que comprar, esta vez en el estanco, otro sello, de 16€. El médico de la autoescuela proncuncia mi nombre y apellidos como si tuviera que salir a hacer el paseíllo en Las Ventas y luego me empieza a contar que le encanta España, que mucho mejor Madrid que Barcelona, que el País Vasco es muy bonito, que tápate un ojo y dime qué letra ves aquí, ahora tápate el otro, que si del Madrid o del Atleti, que si joder las dos finales de Champions, que 30€ y tan amigos. Tiempo total: aproximadamente 96 segundos.

Salgo del despacho-clase y le digo al señor de la autoescuela que yo ya, que soy niño y que quiero pagar la inscripción, que van casi diez minutos desde la última vez que saqué la cartera del bolsillo y que me da cosa. Así que saca el bloc de las facturas, me hace una superdetallada «Algaba, 200€» y me dice «¿el libro te lo he dado ya?» y yo «no, no«. Así que manda a la otra a coger el libro, que lo trae y le encarga a uno que pasaba por allí que me explique cómo «funciona» (el libro), ya que no voy a seguir las clases. El finalista del concurso de «explicarse como los libros cerrados con sangre de infieles» abre el libro y me dice: «bueno, pues este es el libro… ¿Ves? Estas son las preguntas que te vas a encontrar en el examen«, mientras indica las cosas esas dibujadas en el papel que en Occidente llamamos letras y palabras. «Y bueno… Y esta es la aplicación que te puedes bajar para los test, pero no sé muy bien…» dice, mientras abre y cierra un folleto en el que se lee «SIDA Quiz App». Por fortuna en ese momento vuelve la rubia y me dice «esta es la aplicación, te conectas con tu login y tu password, metes este código y haces los test«.

Así que después de dos certificados médicos, una fila en Correos, otra en el estanco y 341,46€ ya estoy inscrito a la autoescuela. Hurra. Algarabía. SIDA.

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«Finalmente ho completato il pokédex!»

Abbiamo appena saputo dell’impresa compiuta da Fernando Algaba Calderón e abbiamo voluto intervistarlo a caldo per conoscere i dettagli.

– Innanzitutto complimenti, sarai contento, immagino…
– Sì, grazie mille, contentissimo, quasi non ci credo… Quasi sei mesi ma alla fine ce l’ho fatta! I caught ‘em all!

– Cosa provi in questo momento?
– In realtà il sentimento più grande in questo momento è il sollievo, non ne potevo più di sti cosi che non si trovavano mai! Anche la batteria del mio cellulare ringrazia…

– Quasi sei mesi, dici, dacci qualche cifra in più su questo tempo di gioco!
– Appena ho finito ho guardato subito le statistiche, sono un po’ imbarazzato in realtà… Ho catturato 5.387 pokémon (fra cui 861 Pidgey e 723 Rattata!), visitato 7.288 pokéstop e aperto 247 uova… Per non parlare degli 818 km fatti dal 15 luglio!

– Tutti a piedi?
– Beh, in realtà no… Una buona parte di loro li ho fatti andando e tornando dal lavoro in pullman e in tram, quindi voglio ringraziare tutti gli autisti dell’ATAF che si sono tenuti sotto la soglia sotto la quale il gioco contabilizza i km fatti. Però ne ho fatti anche tanti a piedi, qualche volta ho allungato un po’ la strada per tornare a casa o per arrivare dove stavo andando…

– Non hai mai pensato di mollare?
– Quando ero a metà mi sembrava mancasse tantissimo ma poi ho fatto un po’ di calcoli e ho visto che se tutto andava bene sarei riuscito a finire entro la fine di dicembre… Ci ho messo qualche giorno in più ma ce l’ho fatta.

– Il momento peggiore?
– Sono contento che tu mi faccia questa domanda… In realtà quando mi è scappato l’unico Lickitung selvatico che avevo trovato… Alla fermata del tram, pensavo che non sarei mai riuscito a trovarne un altro ma invece qualche giorno dopo mi è uscito da un uovo. E’ lì che ho capito che ormai era solo una questione di km.

– E il migliore? Qualche pokémon che avessi particolare voglia di catturare?
– Il migliore senza dubbio oggi quando ho finito… Penso che il mio pokemon preferito sia Growlithe e la sua evoluzione Arcanine.

– Cosa ci dici dei rumours che dicono che andrai a caccia anche della seconda generazione?
– Sono completamente privi di fondamento. Come ho già spiegato alla mia famiglia la mia avventura come allenatore di pokémon finisce qui.

– E cosa dici a tutti quelli che hanno criticato chi giocava a Pokémon Go?
– Innanzitutto che ognuno fa il cazzo cavolo che gli pare col suo tempo libero… Poi, che ognuno ha i suoi vizi, difetti e che molto meglio cercare pokémon e fare qualche passo in più che rimanere a casa a guardare il TG1  o Un posto al sole, ecco.

– Per finire, ce lo fai vedere il tuo pokédex?
– Certo! Eccoli… Mancano ovviamente i leggendari e quelli che si trovano negli altri continenti. Il resto sono tutti miei! Vi faccio vedere anche i miei pokémon più forti, anche se non ho quasi combattuto, questa parte del gioco non mi ha mai attirato.

Le mie serie tv del 2016

Come molti di voi sapranno non sono un malato di serie tv, anzi, fino all’arrivo di Netflix guardavo Game of Thrones e poco altro. Ma da quando c’è Netflix le cose sono cambiate parecchio, soprattutto perché ho potuto vedere il cavolo che ho voluto senza dover entrare nel mondo snob dei consumatori seriali di serie e senza dover rendere conto a nessuno.

Comunque seguendo l’esempio del sempre ammirato Marco Fava ho deciso di raccontarvi un po’ cosa ho visto nel 2016 anziché fare una vera e propria top 10, soprattutto perché non penso di averne visto tante… Eccole (in ordine di preferenza):

Gomorra: a livello di qualità la prima della classe in assoluto. Recitazione straordinaria, fotografia bellissima e scene veramente epocali, come la processione di Salvatore Conte. Puntate che rivedrei una dopo l’altra, brividi solo a pensarci. La peggior crudeltà di cui è capace l’uomo senza il bisogno del (troppo) sangue.

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Narcos: sembra quasi una battuta metterla dopo Gomorra, ma anche qui abbiamo un capolavoro. Il lavoro di Wagner Moura è strepitoso, ma anche Javier Peña non scherza. Storia e politica di quella che ti fa dire “la nostra politica è e sarà sempre finta, quella vera è quella della droga”. Capolavoro.

Daredevil: qua non sono molto obiettivo perché Daredevil è da anni il mio supereroe preferito. Ma proprio per questo motivo penso di poter dire che la serie ha soddisfatto appieno le mie aspettative. L’ambientazione è fantastica e il copione è di quelli che ti fa innamorare della Marvel e delle bellissime potenzialità del mondo dei supereroi, soprattutto di quelli così umani come Devil. E il personaggio di Punisher è qualcosa di straordinario, anche perché a me l’attore nelle poche puntate di Walking Dead che ho visto mi era sembrato piuttosto “cane”… Secondo me la serie è all’altezza de “Il Cavaliere Oscuro”

Luke Cage: ex aequo con DD, e già questo è tanta roba. Ti prende dai primi dieci minuti perché dici “cavolo, è la serie più nera che abbiano potuto fare”. Ora, io non conosco Harlem ma dallo schermo arriva quella sensazione di quartiere e di unità che di solito associamo a questa frazione di NY. Musiche eccezionali e bellissimi personaggi, come Cottonmouth, con un Mahershala Ali a cui spero di vedere in parecchi altri film.

Game of Thrones: il colossal dei nostri tempi. I nostri genitori avevano Ben Hur e I Dieci Comandamenti, noi GoT. Poco da dire ormai alla sesta stagione, però non poteva mancare in questo elenco. Ascoltare Peter Dinklage è pura poesia.

Stranger Things (grave mancanza nel post originale): ho letto anche parecchie critiche negative di questa serie, soprattutto perché considerata una sorta di collage di grandi classici degli anni ottanta. Diciamo che me ne infischio ampiamente. A me la storia dei ragazzini è piaciuta, mi sono divertito molto e penso che ha creato un bello spazio dove continuare per non poche stagioni…

Jessica Jones: un gradino sotto DD e Luke Cage ma comunque molto bella, con un cattivo di quelli che piacciono, con tanti traumi familiari e tanta cattiveria gratuita. Molto al di sopra delle mie aspettative.

Agents of S.H.I.E.L.D.: mi sto mettendo in pari avendo scoperto solo recentemente che c’era su Netflix (tranne l’ultima stagione ancora su Sky). Riconosco che è per gli amanti del genere, non è come DD, che penso che tutti dovrebbero vedere, ma in ogni caso molto bella, trepidante, divertente e con tanti sketch e combattimenti memorabili.

The 100: Questa è una serie di cui non ho mai sentito parlare, nemmeno dopo aver visto la prima stagione (ho la seconda a metà), e che invece è molto bella. Sembra una serie per adolescenti e invece offre anche spunti molto interessanti direi quasi da un punto di vista filosofico. Per certi versi ricorderebbe una grande opera come “Il signore delle mosche”, fosse anche solo per la situazione “siamo da soli, servono regole”. Merita un’opportunità.

Recuperar el sosiego

Si hay algo de lo que internet y las redes sociales nos han privado hasta ahora es de la tranquilidad a la hora de escribir o comentar sobre cualquier argumento. Da igual el contenido o la calidad de lo escrito, todo es (o se convierte en la comprensión lectora de la mayoría del público) un halago inmerecido, una opinión sesgada a propósito, una noticia innecesaria, una crónica en la que se han escondido o tergiversado los detalles más importantes, una velada publicidad de una empresa, una burla, o en el más simple de los casos, una mentira como una casa.
Cuando escribimos, de forma más o menos consciente estamos anticipándonos a los comentarios que recibiremos, aunque dejemos nuestras líneas debajo de la almohada. «Diciendo esto van a pensar que apoyo a tal», » si no enumero todos los casos de corrupción/derrota sindical/elecciones que se repiten/epidemias para zurdos no puedo hablar ahora de este»… Al final, gran parte de lo que escribimos está pensada para evitar que se nos posicione donde no queremos; malgastamos centenares de palabras y de tiempo para proteger lo que vamos a decir de las malas interpretaciones, como si dependiera de nosotros. Por eso cuando llegamos a lo que queríamos decir decimos poco y mal, porque estamos exhaustos después de haber dejado por el camino la mitad de nuestras energías en inútiles batallas. Repetimos en parte el error de Aníbal cuando, habiendo derrotado a los ejércitos enemigos, rechazó atacar directamente Roma.
Todo este preámbulo sólo porque quería decir que he apreciado la gran clase con la que Leonardo di Caprio ha recogido su Oscar, evitando cualquier broma sobre sus múltiples nominaciones y lanzando un bonito mensaje sobre la mala salud del planeta en que vivimos. Tenía miedo de ser banal, o repetitivo, o poco gracioso, o de hablar sin haber visto todas sus películas, o…

El truco de Mario

A menudo, por mucho que uno haya leído, releído y analizado, no existe un motivo válido para apreciar o no a un autor. Hay frases que aborreceríamos en un escritor y nos desarman leídas en la «caligrafía» de otro. Y no es cuestión de contextos históricos o  de propiedad, es sencillamente una sensación, como aceptar en un amigo lo que recriminamos a los demás y viceversa. Lo que en algunos nos resulta banal en otros nos parece la madurez de quien ha sabido trabajar hasta alcanzar la perfección de lo esencial. La barrera entre lo bello y lo recargado es un continuo oleaje. Una palabra inusual puede ser un toque de clase o la escenificación de la pedantería, sabiduría o vacía erudición de biblioteca.
Quizá toda esta retahíla para decir que yo a Benedetti lo amo a pesar de que no consiga entender por qué. Su escritura es como ese truco en que el mago hace desaparecer algo delante de ti. No sabes cómo lo hace y tampoco te interesa. Sencillamente sucede. Y todo ese montón de palabras comunes en él se llenan de riqueza, como sus frases, que parecen tomadas de una conversación escuchada en la calle y que en sus hojas parecen complicadísimos endecasílabos. Si fuera un niño pequeño le agarraría la pernera del pantalón y le diría: «¡Mario, Mario, haz otra vez eso de contarme un cuento diciendo sólo ‘buenos días’!«. Y él lo haría delante de mí sin que yo supiera cómo.